L’Erasmus è uno dei programmi più famosi dell’Ue e ha il triplice obiettivo di accrescere la mobilità, di facilitare l’integrazione europea e di favorire le prospettive occupazionali dei giovani ma non solo; infatti, il programma nel tempo ha subito molte modifiche, raggiungendo più attori: studenti nell'ambito dell'istruzione superiore (ciclo breve, primo, secondo o terzo ciclo), insegnanti e professori dell'istruzione superiore, personale di istituti d'istruzione superiore, formatori e professionisti in imprese.
A cosa serve l'Erasmus?
L’Erasmus risponde alla necessità di migliorare la mobilità fra nazioni, rispondendo quindi anche ad una necessità di natura macroeconomica. Infatti, in una situazione di unione monetaria senza unione fiscale la teoria AVO suggerisce che la mobilità sia fondamentale per affrontare shock asimmetrici, ovvero crisi che colpiscono i paesi europei in modo diverso.
Per semplificare, immaginiamo che ci sia uno shock diverso tra Francia e Germania. Supponiamo che la Francia soffra di più. Ciò può portare a due situazioni.
Se in entrambi i paesi i salari sono flessibili, i lavoratori francesi, vedendosi senza lavoro, accetteranno salari più bassi, mentre in Germania, dove c'è molta richiesta di lavoro, i salari cresceranno. Questi cambiamenti fanno sì che in Francia ci sia meno offerta (perché i salari più bassi riducono la produzione), ma i prezzi scendono, rendendo i prodotti francesi più competitivi. In Germania succede l'opposto: c'è più offerta e i prezzi salgono.
Altrimenti, se i lavoratori francesi senza lavoro possono semplicemente andare in Germania dove c'è molta richiesta di lavoro, allora non c'è bisogno di abbassare i salari in Francia o alzarli in Germania. Così, in Francia la disoccupazione scompare e in Germania non ci sono più pressioni per alzare i salari.
Pertanto, il programma Erasmus potrebbe aiutare la mobilità del lavoro, integrando meglio i processi di aggiustamento macroeconomico in Unione Europea.
Che effetti ha avuto l'Erasmus?
Nel corso degli anni il programma Erasmus+ ha subito modifiche sostanziali; è stato costantemente modernizzato, ampliato e aperto a paesi che inizialmente non ne facevano parte. Questo ampliamento della portata geografica e settoriale ha consentito di realizzare nel 2021, malgrado la difficile situazione sanitaria, oltre 615.000 attività di mobilità. Nel 2014 il programma è stato ridenominato Erasmus+ per segnare l'ampliamento a tutti i settori dell'istruzione, alla gioventù e allo sport.
Stando ai dati rilasciati dalla commissione nel 2022, dal suo inizio l’Erasmus ha coinvolto circa 3 milioni di persone.
Purtroppo, gli effetti del programma Erasmus non sono stati valutati da sufficienti studi per esprimere una valutazione sufficientemente attendibile, tuttavia le evidenze finora emerse sembrano suggerire che il programma sia regressivo, ovvero rivolto alla fascia più facoltosa degli europei. I dati presentati dalla Commissione Europea suggeriscono che l'accesso a tirocini Erasmus di lunga durata sia influenzato dalla situazione economica. Infatti, secondo la Commissione, quasi il 75% dei tirocini finanziati dall'Erasmus+ in Europa dura meno di un mese, mentre solo lo 0,4% supera i sei mesi.
Nonostante la sua regressività, alcuni studi sembrano confermare la positività del programma.
Oosterbeek e Webbink hanno condotto uno studio in Olanda utilizzando dati che riguardano l'ammissione all’Erasmus. Poiché solo gli studenti con un punteggio superiore a una certa soglia possono partecipare al programma, gli autori hanno potuto confrontare due gruppi di studenti simili: quelli con un punteggio appena sotto la soglia che non hanno partecipato al programma e quelli con un punteggio leggermente sopra la soglia che ne hanno beneficiato. I risultati hanno mostrato che il programma ha avuto un forte impatto positivo sulla probabilità che gli studenti vivano all'estero.
Allo stesso modo, Parey e Waldinger hanno condotto uno studio in Germania, utilizzando dati che considerano l'introduzione del programma Erasmus in tempi diversi tra le università e all'interno dei dipartimenti universitari. La loro analisi ha dimostrato che il programma ha aumentato del 15% la probabilità che le persone lavorino all'estero.
In un altro studio, De Pietro ha utilizzato una strategia di ricerca simile, concentrandosi sugli studenti italiani. Ha scoperto che studiare all'estero ha aumentato la probabilità di trovare un lavoro tre anni dopo la laurea, aumentandola di circa il 24%. Questo effetto è stato particolarmente pronunciato per gli studenti provenienti da famiglie svantaggiate.