Che futuro in un paese in cui la spesa pensionistica supera i 300 miliardi?
Il problema
Il sistema pensionistico italiano si basa principalmente sul principio di ripartizione, in cui i contributi versati dai lavoratori attivi oggi finanziano le pensioni attuali. Questo modello, che ha sostenuto il Paese per decenni, oggi si trova di fronte a sfide significative:
- Invecchiamento della popolazione
- Diminuzione del tasso di natalità
Le conseguenze sono evidenti: il rapporto tra pensionati e lavoratori attivi sta rapidamente peggiorando, portando il sistema verso una crisi di sostenibilità.
Queste problematiche sono evidenziate nel rapporto 2023 di medio-lungo periodo della Ragioneria Generale dello Stato.
L'aumento della spesa pensionistica comporta un incremento significativo del carico fiscale e contributivo. Ad esempio, una persona single senza figli, all'inizio del proprio percorso lavorativo, potrebbe percepire un reddito pari al 50% della media. Di questo reddito, riesce a trattenere circa il 70%, un valore superiore a quello registrato in molti altri Paesi. Tuttavia, con l'aumento del reddito, la pressione fiscale cresce sostanzialmente.
Con un reddito pari al 67% della media, la tassazione passa dal 32% al 38%. Se il reddito raggiunge il 100% della media, la tassazione arriva al 45%. In alcuni casi, il livello di tasse potrebbe superare quello previsto per lo stesso reddito in Francia. Questa situazione ostacola lo sviluppo delle carriere, non garantendo un compenso adeguato ai lavoratori e impedendo loro di ottenere un reddito sufficiente per una vita dignitosa.
Il divario diventa ancora più marcato se si analizza il rapporto tra i redditi dei lavoratori e quelli dei pensionati. L'Italia è uno dei pochi paesi OCSE in cui il reddito medio degli over 65 supera quello della popolazione complessiva.
Nella fascia di pensionati tra i 66 e i 75 anni, l'Italia raggiunge il secondo posto in questa sfortunata classifica.
Dal 2000 ad oggi, il reddito dei pensionati italiani è aumentato di 17 punti percentuali, più della media OCSE.
Entrando nel dettaglio è possibile confrontare la crescita dei redditi netti di tutte le classi d'età
La situazione appena delineata si riflette anche sul bilancio dello Stato: a fronte di un gettito contributivo di 265 miliardi, le prestazioni a carico dello Stato superano i 400 miliardi. Per sostenere questo onere, viene impiegato oltre l'80% del gettito IRPEF.
Questo continuo travaso dal Bilancio dello Stato verso l'INPS è cresciuto notevolmente negli anni, passando da 83 miliardi nel 2011 a 157 nel 2022
Le cause
Per comprendere l'evoluzione del problema pensionistico, è necessario partire dall'occupazione italiana. Attualmente, l'occupazione è di circa 24 milioni di persone, mentre il numero di pensionati è di 16 milioni. Nonostante l'occupazione sia a livelli storici, il rapporto fra pensionati e lavoratori è drammatico.
Gli scenari demografici non sono favorevoli: la popolazione, a seconda dello scenario, è destinata a calare, mentre il numero di pensionati crescerà, portando il rapporto fra queste due categorie a livelli ancora più critici.
Le prestazioni pensionistiche oggi erogate ammontano a 23 milioni, con una media di 1,412 pensioni per pensionato. Questo significa che molti pensionati ricevono più di una prestazione: il 68% percepisce una pensione, il 24,2% due prestazioni, il 6,6% tre prestazioni e l'1,2% quattro o più.
Distribuzione dei redditi da pensione
I 16 milioni di pensionati (dati 2022) si distribuiscono in modo eterogeneo:
- Circa 2 milioni ricevono una pensione minima di circa 525 € al mese (4.000 euro netti all’anno).
- Quasi 4 milioni percepiscono circa 9.400 euro netti all’anno, ovvero due volte il minimo.
- Quasi 4 milioni ricevono circa 14.900 euro netti all’anno, pari a tre volte il minimo.
- Circa 3 milioni percepiscono 19.500 euro netti all’anno, ovvero quattro volte il minimo.
- Circa 2 milioni percepiscono cifre superiori a 24.000 euro netti all’anno, con punte fino a 282.000 euro.
Perché è importante guardare al reddito pensionistico?
Concentrarsi solo sulle pensioni rischia di fornire una visione distorta. Come detto, un singolo pensionato può percepire più di una pensione.
Ad esempio, osservando solo il numero di pensioni, potremmo concludere che circa 7 milioni di italiani ricevano una pensione minima. Tuttavia, aggregando le pensioni di ciascun pensionato, scopriamo che in realtà si tratta di circa 2 milioni di persone, un numero nettamente inferiore.
Lo stesso vale per altri scaglioni: prendendo i pensionati che percepiscono fra 4 e 5 volte il minimo, guardando solo al numero di pensioni, penseremmo che siano circa 1,4 milioni, mentre in realtà sono 1,6 milioni.
Perché è necessaria una riforma
Per discutere di pensioni è utile affrontare le controargomentazioni più ricorrenti.
"Ho versato tanti soldi, e ora mi volete togliere la pensione?"
Forse è utile prima di tutto capire a che fine si "versano i soldi", infatti non tutti i contributi vengono usati ai fini pensionistici
Le condizioni contributive del passato erano significativamente più favorevoli rispetto a quelle attuali, influenzando direttamente la sostenibilità del sistema pensionistico odierno. Ad esempio, negli anni '60, la contribuzione complessiva era solo del 14,41%, mentre oggi è del 33% della Retribuzione Annua Lorda (RAL).
In passato, il sistema era meno oneroso per alcune categorie di lavoratori, come artigiani e commercianti, che versavano contributi molto bassi. Questo squilibrio tra contributi versati e pensioni percepite ha generato una pressione crescente sul sistema, rendendo necessarie riforme per mantenere l'equilibrio tra i pensionati attuali e le generazioni future.
Intuitivamente e anche a livello di racconto popolare si sa che il retributivo fu un sistema generoso, tuttavia è utile quantificare un quantum.
Il sistema retributivo funziona in modo tale che la pensione viene calcolata in base agli ultimi anni di carriera del lavoratore, generalmente quelli con i salari più alti. Questo porta a un'evidente discrepanza tra quanto è stato versato e quanto viene restituito come pensione. Chi ha avuto una carriera caratterizzata da rapidi aumenti di stipendio, come spesso accade nei lavori più qualificati, ottiene vantaggi maggiori rispetto a chi ha avuto una carriera più stabile. Questo approccio si allontana dal principio di equità contributiva, creando uno squilibrio nel sistema.
Un indicatore utilizzato per misurare la generosità dei sistemi pensionistici è il Present Value Ratio (PVR). Questo indicatore mette a confronto il "valore attuale atteso" dei benefici pensionistici con il totale dei contributi versati dal lavoratore. Un PVR superiore a 100 indica che il sistema sta offrendo un rendimento dei contributi più alto rispetto a quanto sia sostenibile. Questo squilibrio comporta una redistribuzione di risorse dalle generazioni giovani, presenti e future, a favore delle generazioni anziane.
Un esercizio di simulazione condotto dal CePR evidenziava l'enorme generosità del nostro sistema pensionistico.
*Nota: Il Present Value Ratio (PVR) è il rapporto tra il valore attuale delle pensioni che il lavoratore riceverà da pensionato e il montante dei contributi versati dallo stesso durante la vita attiva, entrambi valutati al momento del pensionamento.
Nota: *Gestione artigiani e commercianti.
Un altro aspetto da chiarire riguardo alla generosità del sistema previdenziale italiano, anche nella sua componente contributiva, riguarda alcune peculiarità introdotte con la riforma Dini.
Con il sistema contributivo, il valore del montante – cioè l'insieme dei contributi versati durante la vita lavorativa – viene trasformato in una pensione attraverso l'applicazione di coefficienti di trasformazione. Questi coefficienti sono calcolati tenendo conto dell’aspettativa di vita al momento del pensionamento e della crescita nominale del PIL.
Tuttavia, per rendere questa transizione più accettabile a livello politico e limitare le disparità rispetto al più generoso sistema retributivo, furono introdotti alcuni meccanismi che, di fatto, rendono oggi il peso delle pensioni in parte scollegato dai redditi che dovrebbero sostenerle.
Uno di questi meccanismi riguarda la rivalutazione del montante contributivo. Fino al momento della pensione, i contributi accantonati continuano a "maturare interessi" in base alla media quinquennale della crescita nominale del PIL. Questo sistema non solo protegge il montante dalla perdita di potere d’acquisto, ma può anche generare un incremento maggiore rispetto a una semplice indicizzazione all’inflazione, poiché lega i rendimenti alla crescita economica complessiva.
Se da un lato questo meccanismo garantisce una valorizzazione più generosa dei contributi, dall’altro può comportare tensioni sulla sostenibilità del sistema pensionistico, soprattutto in periodi di stagnazione economica. In un contesto di PIL nominale in crescita, il rendimento dei contributi potrebbe superare la capacità dell’economia di finanziare tali pensioni, creando un disallineamento tra l’onere pensionistico complessivo e i redditi disponibili per sostenerlo.
Un altro tema cruciale riguarda l'unicità dei coefficienti di trasformazione.
La ricerca evidenzia infatti che persone con livelli di istruzione e reddito più alti tendono ad avere un’aspettativa di vita superiore rispetto alla media della popolazione.
Secondo l'INPS
Si rileva, ad esempio, che un ex-lavoratore dipendente con un reddito coniugale nella fascia più bassa della distribuzione ha un’aspettativa di vita a 67 anni di quasi 5 anni inferiore rispetto a quella di un ex-contribuente al Fondo INPDAI, volo o telefonici, con reddito nella fascia più alta della distribuzione. Tali differenze tra le donne sono meno pronunciate, ma comunque rilevanti.
Questo significa che i lavoratori con redditi più bassi, a parità di altre condizioni, percepiranno in media una pensione più bassa di quanto avrebbero ottenuto se i coefficienti di trasformazione fossero stati calibrati in base alla classe di reddito. Al contrario, i lavoratori con redditi più elevati beneficiano maggiormente dell’attuale sistema, grazie alla loro maggiore aspettativa di vita.
"Basterebbe dividere assistenza da previdenza"
Per comprendere l'infondatezza di questa argomentazione, è essenziale esaminare i costi delle prestazioni assistenziali, che dimostrano quanto il sistema sia gravato da pensioni non collegate a contributi sufficienti o inesistenti.
Spese Assistenziali nel 2022
Secondo i dati di Itinerari Previdenziali, nel 2022 sono stati spesi 21,48 miliardi di euro solo per le prestazioni totalmente assistenziali, così suddivisi:
- Pensioni di invalidità civile: € 3,87 miliardi
- Indennità di accompagnamento: € 12,48 miliardi
- Pensioni e assegni sociali: € 4,16 miliardi
- Pensioni di guerra: € 0,97 miliardi
A queste si aggiungono le prestazioni parzialmente assistenziali, che integrano le pensioni previdenziali con componenti assistenziali, per un totale di 10,26 miliardi di euro:
- Integrazioni al minimo: € 6,02 miliardi
- Maggiorazioni sociali: € 2,79 miliardi
- Quattordicesima mensilità: € 1,38 miliardi
Il totale per le prestazioni interamente o parzialmente assistenziali ammonta a 31,74 miliardi di euro nel 2022.
Trasferimenti Statali per Prestazioni Assistenziali
Un ulteriore punto che smentisce l'argomentazione della separazione è il peso dei trasferimenti statali, che finanziano una vasta gamma di prestazioni assistenziali. Nel 2022, lo Stato ha trasferito 157 miliardi di euro per coprire diversi oneri, tra cui:
Oneri Pensionistici: € 88,1 miliardi
- Copertura dei disavanzi di alcune casse (es. CDCM, Poste): € 44 miliardi
- Gestione ex INPDAP: € 14 miliardi
- Assegni sociali, pensioni sociali e maggiorazioni: € 5 miliardi
- Invalidità civile, pensioni di invalidità e indennità di accompagnamento: € 18 miliardi
- Deficit di gestioni di alcuni fondi speciali INPS: € 4 miliardi
Altri Trasferimenti
- Mantenimento del salario: € 7,5 miliardi (principalmente per sostenere chi ha perso il lavoro durante la pandemia COVID-19)
- Sostegno alla famiglia: € 16,6 miliardi (assegno unico universale e altre misure familiari)
- Sgravi contributivi e agevolazioni: € 24 miliardi
- Redditi e pensioni di cittadinanza: € 8,1 miliardi
Questi numeri dimostrano come lo Stato sia impegnato a sostenere gran parte delle pensioni e delle prestazioni assistenziali attraverso risorse fiscali. Il 46,5% delle nuove pensioni liquidate dall'INPS nel 2022 è di natura completamente assistenziale, evidenziando che l'assistenza non è affatto un elemento marginale, ma un pilastro fondamentale del sistema.
Le Proposte di Riforma di Itinerari Previdenziali
Separare assistenza e previdenza non risolverebbe i problemi strutturali del sistema pensionistico. Le prestazioni assistenziali, in gran parte non coperte da contributi, rappresentano un peso fiscale continuo per lo Stato, che deve finanziarle con risorse pubbliche. La sostenibilità del sistema pensionistico e assistenziale non può essere garantita con una semplice divisione tra previdenza e assistenza, poiché entrambe le componenti sono interconnesse e dipendenti dai trasferimenti statali.
L’argomentazione secondo cui "basterebbe separare assistenza da previdenza" trae origine dalle analisi di Itinerari Previdenziali. Si sostiene che la spesa per oneri assistenziali nel 2022 sia stata pari a 157 miliardi di euro, con un aumento del 126% nel corso di un decennio. Tuttavia, lo stesso rapporto chiarisce che buona parte di questi oneri è strettamente collegata al sistema previdenziale, rendendo la separazione meno netta di quanto possa sembrare.
Inoltre, il rapporto non si limita a raccomandare una semplice separazione tra assistenza e previdenza, ma suggerisce anche di contenere maggiormente la spesa assistenziale. Le proposte avanzate includono:
- Limitare le forme di anticipazione pensionistica a pochi strumenti mirati ed efficaci, come i fondi esubero, l’isopensione e i contratti di solidarietà, mantenendo però l’anticipo a un massimo di 5 anni.
- Bloccare l’anzianità contributiva agli attuali 42 anni e 10 mesi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne, con agevolazioni per le madri e i lavoratori precoci. È anche proposto un superbonus per chi decide di rimanere al lavoro fino ai 71 anni.
- Uniformare le regole di pensionamento tra i "contributivi puri" e gli altri lavoratori, eliminando le disparità attuali.
- Misure per garantire l’equità intergenerazionale, come una revisione dell’ISEE e controlli fiscali e contributivi più serrati sugli under 35.
La proposta originale di Itinerari Previdenziali non si limita quindi a suggerire una separazione contabile tra assistenza e previdenza, ma avanza un quadro di riforme più articolato, mirato a una maggiore sostenibilità del sistema complessivo.
Le soluzioni
Alla luce di quanto esposto, appare evidente che il problema non sia di semplice risoluzione. Affrontarlo, oltre a essere politicamente complesso, presenta anche rilevanti implicazioni costituzionali, rendendo ogni decisione particolarmente delicata.
Se non si interviene tempestivamente, le conseguenze saranno gravi e difficilmente reversibili:
- Ritardi nell'azione: Posticipare il problema porterà, quando la situazione diventerà insostenibile per la fiscalità generale, a interventi drastici come tagli lineari o nuove tasse. Tuttavia, considerando l'attuale livello di tassazione, tali misure risulterebbero insopportabili per cittadini e imprese.
- Effetti macroeconomici: I trasferimenti dal bilancio dello Stato all’INPS, che superano i 150 miliardi di euro l’anno e sono in continua crescita, rappresentano un freno strutturale alla crescita del PIL. Ciò, nel lungo periodo, ridurrà ulteriormente il livello delle pensioni per le future generazioni.
È dunque fondamentale chiarire sin da subito che, nonostante i vincoli costituzionali, è possibile intervenire per stabilizzare il sistema pensionistico. Le soluzioni possono essere di due tipi:
- Interventi diretti sulla spesa pensionistica: Preferibili per la loro maggiore precisione ed equità.
- Interventi tramite una diversa redistribuzione della tassazione: Necessari, ma meno efficaci e più controversi.
La Corte Costituzionale ha fornito importanti indicazioni che devono orientare l'azione legislativa. In particolare:
- Ragionevolezza e urgenza: Le misure devono essere giustificate da esigenze reali e proporzionate agli obiettivi prefissati. Questo rende evidente la necessità di un intervento immediato e mirato.
- Proporzionalità: L'entità degli interventi deve essere adeguata alla situazione economico-finanziaria generale, evitando sacrifici eccessivi per i pensionati, soprattutto per quelli con redditi più bassi.
Agire ora, con misure bilanciate e sostenibili, è non solo possibile, ma indispensabile per garantire la sostenibilità del sistema pensionistico e la stabilità economica del Paese.
Oltre alle proposte di Itinerari Previdenziali ve ne sono anche altre:
Ricalcolo del contributivo e del retributivo
Alla luce delle indicazioni della Corte Costituzionale e delle riflessioni avanzate da Ugo Arrigo già dieci anni fa, la soluzione più equa potrebbe consistere nel ricalcolo delle pensioni retributive secondo il metodo contributivo. Questo approccio consentirebbe di correggere l'attuale squilibrio rappresentato da un PVR (Prestazione Valore Rendita) estremamente elevato, che evidenzia un disaccoppiamento eccessivo tra i contributi versati e le pensioni percepite. Tuttavia, è fondamentale che tale intervento tenga conto del reddito complessivo del pensionato, anziché limitarsi all’analisi delle singole pensioni.
In questa prospettiva, è indispensabile prevedere una tutela per i redditi al di sotto della mediana, al fine di proteggere le categorie più fragili e garantire un intervento socialmente equo.
Parallelamente, potrebbe essere necessario ripensare il metodo contributivo stesso per ridurre il disaccoppiamento tra i redditi attivi che finanziano le pensioni e gli importi delle pensioni erogate. Una possibile soluzione potrebbe consistere nel sostituire il parametro del PIL con un indicatore maggiormente correlato alla dinamica salariale, come la crescita dei salari che effettivamente contribuiscono al finanziamento del sistema previdenziale. Questo permetterebbe di migliorare l’equità intergenerazionale e la sostenibilità del sistema pensionistico nel lungo periodo.
Inoltre, sarebbe fondamentale introdurre un regime transitorio per garantire una graduale implementazione delle modifiche, minimizzando l’impatto su chi è prossimo al pensionamento e garantendo una maggiore accettabilità sociale delle riforme.
Rivalutazione delle pensioni
Se un intervento diretto risultasse impraticabile, ad esempio per ragioni politiche, si potrebbe considerare un approccio alternativo: rivedere il meccanismo di rivalutazione delle pensioni spostandolo dal calcolo sulla singola pensione a quello basato sul reddito pensionistico complessivo.
Questo approccio permetterebbe di affrontare l’iniquità regressiva insita nell’attuale sistema. Oggi, infatti, sia un pensionato che percepisce un’unica pensione sia uno che ne riceve due di pari importo beneficiano della stessa rivalutazione per ciascuna pensione, anche se il secondo dispone di un reddito totale maggiore. Con una rivalutazione basata sul reddito complessivo, gli adeguamenti sarebbero più equi e rispecchierebbero meglio le effettive condizioni economiche dei beneficiari.
In aggiunta, questa modifica potrebbe essere ulteriormente perfezionata utilizzando i dati dell'INPS, che evidenziano una correlazione tra reddito e speranza di vita.
Come evidenziato in precedenza, i pensionati con redditi più alti tendono a vivere più a lungo rispetto a quelli con redditi più bassi, ottenendo quindi un vantaggio cumulativo dal sistema pensionistico. Per affrontare questa disparità, si potrebbe prevedere una rivalutazione più contenuta per i redditi pensionistici più elevati. Le risorse liberate da tale misura potrebbero essere destinate a finanziare strumenti di pensionamento anticipato, con l’obiettivo di spostare l’onere economico di tali misure dalla fiscalità generale al sistema pensionistico stesso. Questo consentirebbe di rendere il sistema più equo e sostenibile, garantendo un migliore bilanciamento tra i diritti dei pensionati e la sostenibilità finanziaria complessiva.
No Tax Area e Riequilibrio del Sistema
Se anche la rivalutazione fosse giudicata impraticabile, si potrebbe considerare un intervento alternativo agendo sulla fiscalità. Ad esempio, esistono attualmente situazioni di disparità tra il calcolo dell'imponibile per i lavoratori dipendenti e quello per i pensionati, che potrebbero essere corrette per rendere il sistema più equo e omogeneo. Interventi mirati in questo ambito potrebbero bilanciare meglio il carico fiscale tra le due categorie.
Un’altra proposta potrebbe riguardare la no tax area, ossia la soglia di reddito al di sotto della quale non si pagano imposte. Per molti anni, i pensionati hanno beneficiato di una no tax area più alta rispetto a quella dei lavoratori dipendenti. Nulla vieta, però, di invertire questa tendenza, riequilibrando il sistema e prevedendo un aumento della no tax area per i lavoratori dipendenti. Tale modifica, se ancorata all'inflazione, garantirebbe una maggiore tutela del potere d’acquisto dei redditi da lavoro, migliorando l’equità fiscale complessiva.
Un’ultima proposta da Sandro Brusco
Lavoratori e pensionati pagano in diversa misura diverse tipologie di tasse. Consideriamo per esempio l'IMU. Per come è attualmente strutturata, si tratta di una tassa sul possesso di immobili. Per la determinazione dell'ammontare dell'imposta è irrilevante se il proprietario lo ha acquisito accendendo un mutuo che sta ancora pagando o se invece non ha debiti che gravano su di esso. Si potrebbe cambiare l'imposta rendendola una imposta sulla ricchezza netta legata all'immobile, determinando la base imponibile come data dal valore dell'immobile meno il valore del mutuo che il proprietario deve ancora pagare. Dato che le classi di età più anziane hanno debiti nettamente inferiori a quelli delle classi di età più giovani, questo cambiamento provocherebbe in media uno slittamento della pressione fiscale dai più giovani ai più anziani.
Conclusione
Il sistema pensionistico italiano necessita di riforme profonde per assicurare la sostenibilità finanziaria e l'equità tra le generazioni. Senza interventi, la pressione sul bilancio pubblico aumenterà, minacciando la stabilità economica del Paese e l'equità sociale. Le proposte di riforma mirano a proteggere le fasce più deboli, redistribuire equamente le risorse e garantire un sistema più solido per le generazioni future.