Nelle fabbriche della "nuova economia" industriale, gli imprenditori combinavano capitale fisso (edifici e macchinari) e capitale circolante (materie prime, semilavorati, salari) per produrre grandi quantità di beni standardizzati destinati ai mercati interni ed esteri. Nonostante le differenze organizzative tra le varie aree geografiche, il sistema presentava omogeneità strutturali significative. L'impatto combinato di queste novità sull'economia europea e mondiale era evidente, con implicazioni che andavano ben oltre i sistemi economici direttamente coinvolti e si estendevano agli assetti politici e sociali mondiali dell'Ottocento. Karl Marx e Joseph Schumpeter compresero chiaramente la portata di questa trasformazione.
Il sistema di fabbrica: una rivoluzione organizzativa
La fabbrica moderna si affermò come un modello completamente diverso dai precedenti metodi di organizzazione del lavoro:
- Radunava un numero di lavoratori molto maggiore rispetto ai cantieri, agli arsenali e alle unità di artigianato.
- Introdusse la meccanizzazione di alcune fasi produttive, destando stupore tra gli osservatori contemporanei per il rumore e l'efficienza degli impianti.
Le macchine erano più sofisticate degli attrezzi artigianali e richiedevano lavoratori specializzati per la manutenzione. L'investimento in capitale fisso era significativo, rappresentando un vincolo rilevante.
Il nuovo ruolo del lavoratore
A differenza del passato, il lavoratore non era più proprietario dei mezzi di produzione, con nuove problematiche organizzative legate all'uso delle macchine e alla disciplina degli operai. Queste problematiche venivano risolte con sistemi regolati di addestramento e supervisione.
Il sistema di fabbrica si diffuse rapidamente in Gran Bretagna e più lentamente sul continente. Questa modalità di produzione sottraeva lavoratori all'agricoltura e relegava l'artigianato in nicchie di mercato sempre più ristrette, mentre i beni standardizzati a basso prezzo conquistavano i consumatori.
Impatto sociale e cambiamenti nella vita dei lavoratori
Per i lavoratori, l'ingresso nel sistema di fabbrica significava:
- Un brusco adattamento ai nuovi ritmi di lavoro e all'inurbamento.
- La perdita della relativa libertà nella gestione dei tempi di lavoro e riposo.
- L'inserimento in turni di lavoro diurni e notturni, regolati dalle macchine.
Il sistema fabbrica introdusse gerarchie e ruoli rigidamente definiti, stravolgendo lo stile di vita tradizionale e creando tensioni sociali. I lavoratori affrontavano:
- Spostamenti giornalieri per raggiungere il lavoro.
- Vita in dormitori affollati.
- Lo sradicamento dalle comunità locali e dalle reti familiari.
Schumpeter e la "distruzione creatrice"
Joseph Schumpeter analizzò questi conflitti per comprendere le implicazioni sullo sviluppo del capitalismo moderno. Secondo Schumpeter, gli imprenditori-innovatori traevano immediato vantaggio dalle nuove tecnologie e forme organizzative. Tuttavia, la maggiore efficienza economica portò benefici alla società nel suo complesso: la "torta" economica si espanse, escludendo dal mercato le vecchie organizzazioni economiche a favore delle nuove, in un processo che Schumpeter definì "distruzione creatrice".
La coesistenza di diverse forme di impresa
Durante la prima rivoluzione industriale, coesistevano fabbriche centralizzate e piccole unità specializzate:
- I mercanti-imprenditori investivano nelle nuove tecnologie della filatura, centralizzando le fasi iniziali della produzione.
- Le fasi successive, come la tessitura e il finissaggio, erano spesso delegate a una rete di lavoratori a domicilio.
Problemi e sfide del sistema di fabbrica
Il sistema di fabbrica, pur risolvendo molti problemi, ne creava di nuovi:
- Manutenzione di macchinari costosi.
- Gestione delle gerarchie e delle informazioni.
- Definizione di nuove procedure e ruoli.
Il superamento del sistema di remunerazione a cottimo rese difficile mantenere disciplinata la forza lavoro, che non riconosceva valore alle relazioni paternalistiche con i proprietari e i dirigenti.
La svalutazione del lavoratore
La crescente specializzazione portò alla svalutazione della professionalità del lavoratore e alla genericità delle mansioni, offrendo agli imprenditori nuove opportunità di sfruttamento. Secondo la teoria marxiana, i lavoratori, privi di potere d'acquisto, non avrebbero potuto sostenere l'acquisto dei beni industriali, portando alla crisi finale del capitalismo.