In questa fase affronterò i diversi approcci al capitalismo e all'economia adottati dalle varie nazioni e basati sui filoni di pensiero dei primi del Novecento e durante la Terza Rivoluzione Industriale. I paesi non trattati nella scorsa settimana, come Italia, Francia, Cina, Russia, Giappone, Corea e Argentina, saranno discussi in seguito per offrire una visione più compatta e lineare.
Joseph Schumpeter
Joseph Schumpeter fu un esponente dell'ambiente culturale tedesco di fine XIX e inizio XX secolo, un periodo in cui si enfatizzava il ruolo della cultura nella spiegazione dell'attività imprenditoriale. Figure influenti includevano:
- Max Weber, che descriveva l'imprenditore come portatore di una «razionalità strumentale» capace di mettere in relazione obiettivi (profitto) e mezzi adeguati, con una forte propensione al calcolo.
- Werner Sombart, che in Der moderne Kapitalismus (1909) evidenziava l'energia vitale e la creatività dell'imprenditore come motori di elementi economici altrimenti statici, come il lavoro e il capitale.
- Friedrich Nietzsche, la cui filosofia influenzò profondamente il pensiero di Schumpeter, sottolineava la distinzione tra chi era avanti rispetto alle convenzioni morali e chi vi si adattava, enfatizzando la forza di volontà degli individui eccezionali.
L'innovazione come motore del capitalismo
Schumpeter definiva l'innovazione come cambiamento e "distruzione creatrice". Essa non coincideva con l'invenzione, ma con la sua realizzazione a livello economico. L'imprenditore, in questa visione, era un "traduttore" che sfruttava le onde lunghe della tecnologia descritte da Kondratieff:
- 1786-1842: innovazioni nel tessile e nella metallurgia.
- 1843-1897: innovazioni nelle ferrovie e attività correlate.
- 1897-Seconda Guerra Mondiale: espansione nei settori elettrico, chimico e automobilistico.
L'innovazione era vista come una variabile indipendente cruciale per l'imprenditore schumpeteriano, che era soprattutto un uomo coinvolto nella produzione, e non necessariamente un proprietario o colui che assumeva i rischi d'impresa.
L'imprenditorialità nel pensiero economico
Nel pensiero economico classico e neoclassico, l'imprenditorialità non occupava un ruolo centrale:
- Adam Smith attribuiva la funzione principale dell'uomo d'affari al fornire capitale.
- David Ricardo enfatizzava l'automatismo dei movimenti economici.
- Karl Marx, nonostante elogiasse la borghesia industriale nel Manifesto (1848), negava rilevanza ai fattori soggettivi come l'imprenditorialità.
Anche Alfred Marshall, padre della scuola neoclassica, nei suoi Principles of Economics (1890), inseriva l'imprenditorialità nella routine gestionale, distinguendo tra il ruolo dell'imprenditore nelle decisioni fondamentali e quello manageriale con poteri delegati. Per Marshall, l'imprenditore era una figura comune, parte integrante dell'impresa.
L'imprenditore "uno di noi"
Nonostante le sue qualità di coraggio, leadership e capacità di giudizio, l'imprenditore era essenzialmente "uno di noi", una persona comune. Schumpeter scriveva:
“Le organizzazioni, con le loro regole burocratiche e le loro routines, finiscono per soffocare lo slancio dell'imprenditore”.
Questa argomentazione, presente in Capitalism, Socialism, and Democracy (1941), anticipava il declino del capitalismo borghese, in cui la vitalità dell'imprenditore era la giustificazione stessa del sistema.
Influenza e concetti moderni
William Lazonick riprese il tema della competizione tra modelli di capitalismo, osservando il successo dell'impresa giapponese negli anni Ottanta. Lazonick evidenziava l'abilità della dirigenza giapponese di coinvolgere tutte le componenti dell'impresa nel processo innovativo, partendo dai lavoratori. Per un'organizzazione, l'apprendimento è vitale, ma deve avvenire in un sistema dominato dalla capacità di direzione e decisione.
Questo testo offre uno sguardo approfondito sull'approccio di Joseph Schumpeter al capitalismo e sull'importanza dell'innovazione e dell'imprenditorialità nel contesto della Terza Rivoluzione Industriale.