Tavares: il re è morto, viva il re!
L'annuncio delle dimissioni di Carlos Tavares da Chief Executive Officer di Stellantis ha scosso il mondo dell'automotive. Le ragioni di questa decisione si possono forse rintracciare nelle sfide che il gruppo si trova ad affrontare, come riporta il Financial Times.
l'azienda è stata coinvolta nei venti contrari più ampi che hanno colpito il settore, con una crescita più lenta nelle vendite di veicoli elettrici e una maggiore concorrenza da parte dei rivali cinesi. Il consiglio di amministrazione di Stellantis ha anche avviato la ricerca di un successore di Tavares in preparazione della fine del suo contratto all'inizio del 2026. Come la tedesca Volkswagen, anche Stellantis è sottoposta a forti pressioni da parte dei politici e dei sindacati italiani affinché mantenga in funzione il suo più antico stabilimento Fiat di Torino, nonostante il forte calo delle vendite. Mercoledì la Volkswagen ha segnalato un calo del 64 percento dell'utile netto trimestrale, in mezzo al rallentamento delle vendite in Cina e alle spese di ristrutturazione. La più grande casa automobilistica europea ha comunicato al suo potente consiglio aziendale che intende chiudere tre stabilimenti e licenziare decine di migliaia di lavoratori, segnando la sua misura di ristrutturazione più radicale negli 87 anni di storia dell'azienda.
Stellantis, infatti, deve fare i conti con la crescente concorrenza cinese, il rallentamento delle vendite dei veicoli elettrici e la stagnazione delle vendite globali. Tutto questo mentre il mercato dell'automobile è in una fase di profonda trasformazione, segnata da una corsa globale ai sussidi e dalla transizione verso modelli più sostenibili.
La corsa globale ai sussidi
Per chi ha vissuto sotto una pietra negli ultimi anni, il mondo dell'intervento pubblico ponderato è ormai una reliquia del passato. Siamo passati dal PNRR all'Inflation Reduction Act (IRA), attraversando mille forme di sussidio più o meno esplicite. A partire dal programma "Made in China 2025" della Cina, il cui obiettivo è quello di far avanzare la frontiera tecnologica del paese, si è avviata una corsa ai sussidi industriali in tutto il mondo. Gli Stati Uniti hanno risposto con l'IRA, volto a rivitalizzare la manifattura americana e costruire un vantaggio strategico sulla Cina. Anche il Regno Unito non è rimasto a guardare, con il piano da mezzo miliardo di sterline a supporto della gigafactory di Tata Group The Guardian. Allo stesso modo, il Giappone ha deciso di investire ben 65 miliardi di dollari per sostenere la propria industria dei microprocessori e dell'intelligenza artificiale Reuters.
Tuttavia, questo continuo ricorso ai sussidi non ha raccolto il favore degli ecologisti, che lamentano la mancanza di fondi destinati alla transizione ecologica.
Questa continua rincorsa verso il sussidio più "impattante" sta generando da una parte una corsa alla spesa pubblica e dall'altra continue pressioni inflazionistiche. Dopo questi ultimi anni sarebbe forse opportuno riconoscere che il ricorso continuo a crediti di imposta e trasferimenti non sia utile.
Ne sono un caso ad esempio il mild hybrid. I modelli mild hybrid di Fiat, come la 500 e la Panda, utilizzano un sistema ibrido leggero che combina un motore a benzina con un piccolo motore elettrico e una batteria a 12 volt. Questo sistema mira a migliorare l'efficienza del carburante e ridurre le emissioni di CO₂. Ad esempio, la Fiat 500 Hybrid dichiara una riduzione del 19% delle emissioni di CO₂ rispetto al modello 1.2 litri precedente, con emissioni di 89 g/km e un consumo di carburante dichiarato di circa 53 mpg (circa 18 km/l).
Tuttavia, l'efficacia dei sistemi mild hybrid è oggetto di dibattito. Alcuni critici sostengono che i mild hybrid non offrono vantaggi significativi in termini di efficienza rispetto ai veicoli a combustione tradizionali.
Per quanto riguarda i sussidi, i veicoli mild hybrid spesso beneficiano di incentivi fiscali e agevolazioni, come l'etichetta ECO in Spagna, che offre vantaggi nonostante le riduzioni limitate delle emissioni. Questo green washing continuo sta paralizzando il mercato.
Stellantis: Fusione o proseguimento autonomo?
Le dimissioni di Tavares lasciano aperta la questione del futuro di Stellantis. L'azienda continuerà da sola o opterà per una fusione? E se sì, con chi?
Se Stellantis dovesse proseguire autonomamente, il gruppo dovrà affrontare il calo delle vendite generalizzato, causato da fattori quali la stagnazione demografica e la diffusione di strumenti di mobilità alternativa, come i mezzi pubblici e la mobilità condivisa. Questi fattori riducono la domanda di automobili private, e se il numero di acquirenti diminuisce, i prezzi non possono che salire, come evidenziato anche dal recente aumento dei prezzi negli Stati Uniti, che ha superato il tasso di inflazione CarEdge.
I dati rivelano che Stellantis sta affrontando gravi problemi di vendite nei mercati chiave. Ad esempio, la fornitura di veicoli Ram 1500 e Jeep Wagoneer nei lotti dei concessionari è significativamente superiore rispetto ai concorrenti diretti Reuters. Questo sovraccarico di inventario non ha certo giovato al gruppo, ed è forse una delle motivazioni alla base delle dimissioni di Tavares Financial Times.
In alternativa, l'ipotesi di una fusione è ancora sul tavolo. Si è parlato di una possibile unione con Renault, ma John Elkann ha chiaramente frenato gli entusiasmi, affermando che Stellantis non è attualmente interessata a ulteriori operazioni di consolidamento ANSA. Dunque, quale sarà il destino del gruppo?
L'opzione Italia: un disastro annunciato?
Nel frattempo, si è intensificato lo scontro tra Stellantis e il governo italiano. In risposta alla possibilità di chiudere alcuni impianti produttivi in Italia in assenza di incentivi, è stato chiesto l'ingresso dello Stato italiano nel capitale della società ANSA. Questa ipotesi, però, potrebbe rivelarsi un enorme disastro.
Già negli anni '80, Alfa Romeo, allora in mano all'Iri, fu ceduta a Fiat a causa delle pesanti perdite economiche e della necessità di aumentare la produttività. Il settore automobilistico è maturo da decenni, e la sua profittabilità è sempre stata minacciata dalla concorrenza e dai costi elevati. Inoltre, l'elevato break-even rende estremamente rischioso qualsiasi calo di produttività: anche una piccola flessione può trasformarsi in enormi perdite finanziarie.
L'ingresso dello Stato italiano nel capitale di Stellantis non avrebbe come obiettivo l'aumento della produttività, bensì la salvaguardia della produzione nazionale. Ma come ci insegna l'esperienza francese, dove lo Stato è azionista di Renault, questo tipo di intervento non porta a risultati positivi. Renault ha subito diverse ristrutturazioni negli ultimi decenni, e la produzione automobilistica francese è costantemente calata nonostante il supporto statale Il Sole 24 Ore, Reuters.
Conclusioni
L'ingresso dello Stato italiano nel capitale di Stellantis rappresenterebbe un potenziale disastro, non solo per lo Stato ma anche per la stessa azienda. L'esperienza francese ci insegna che l'intervento pubblico non è la risposta ai problemi strutturali del settore automobilistico, che richiedono piuttosto un aumento della produttività e una maggiore competitività. La situazione attuale, con una classe dirigente italiana che sembra voler riproporre soluzioni già dimostratesi fallimentari, non lascia presagire nulla di buono per il futuro dell'industria automobilistica nazionale.
Rimane solo da sperare che il prossimo capitolo della storia di Stellantis possa essere scritto con una visione più lungimirante e meno legata a formule già fallite in passato.